Noi, del blog di romanews.it, ci teniamo  a scrivere contenuti originali e assolutamente NON copiati ma, proponendo una sezione WIKI dedicata all’economia solidale ed ai GAS (gruppi di acquisto solidale), siamo rimasti conquistati dalla descrizione in chiave “cartoons” fatta da Topolino nel 2011 magistralmente descritta dal blog
https://fumettologicamente.wordpress.com/tag/topolino/page/3/
Vi proponiamo quindi, in modalità “RASSEGNA STAMPA”, l’articolo pubblicato alla URL indicata:

 

Il businessbuonismo di Paperone, e la pedagogia economica
Posted on 18/10/2011 by matteos

 

In uno degli ultimi numeri (2913), Topolino apriva con la storia Zio Paperone e la campagna in città (testi Marco Bosco, disegni Marco Mazzarello).
Mi è parsa una storia più interessante del solito. Ma non tanto perché era dedicata al tema attuale del cibo biologico. Come sapete, che Topolino produca storie ispirate all’attualità – dai fatti puntuali ai temi nell’agenda dei media – non è una novità. E che questa abitudine sia anche una leva di marketing per il settimanale, è pure cosa nota. Infine, che l’ecologia sia un tema da tempo presente nelle storie Disney italiane, e che questo sia attraversato da ampie dosi di buonismo, è altrettanto evidente arcinoto. Basti pensare a un anno fa, quando Topolino 2834 ospitò la storia Paperinik e il mistero a impatto zero, sul tema delle emissioni di co2.

Per precisione, dunque: nel numero in questione, la cui copertina portava lo strillo “numero speciale Topogreen”, il tema ecologico era declinato anche come strumento di marketing, per accompagnare la decisione (argomentata anche nell’editoriale dalla direttrice) di iniziare a stampare il giornale su carta riciclata con certificato PFEC.
Economia solidale... conosciamola con i fumetti!

Sbrigate le premesse, gli aspetti che mi sono parsi interessanti sono questi:

1- Il primo è quello più evidente: il tema del cibo biologico è affrontato attraverso una chiave di lettura che non è solo valoriale. Non si tratta di una generica catechesi ecologista, del tipo “ciò che rispetta la natura è cosa buona in sé. Punto”. La lettura immaginata da redazione e autori è invece economica: il biologico come *modello differente* nella produzione e mercato dell’alimentazione. Al centro non c’è il valore del BIO in sé, ma il valore specifico della filiera corta.

La storia si apre con un canonico shock imprenditoriale di Paperone, disperato per il declino delle vendite di frutta e verdura coltivate (e commercializzate) dalle sue imprese del settore. La ragione è che i consumatori sembrano avere cambiato le loro abitudini di acquisto, abbandonando i supermarket P.d.P per il nuovo “Mercato dei contadini”:
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In questa rappresentazione, Nonna Papera incarna la filiera corta, mentre Paperone è il simbolo dell’agricoltura industrale. Una trovata sensata e brillante, perché è perfettamente giustificata dall’identità dei personaggi, ma al contempo ne offre una specie di rilettura alternativa e/o aggiornata, che sovrappone il tema odierno agli stili di vita tradizionalmente diversi dei due paperi. Il cibo di Nonna Papera, proverbialmente “più buono”, si rivela tale non solo grazie alle sue abilità in cucina, e non è semplicemente ‘genuino’: proviene da un altro modello di produzione agricola. La Coldiretti sembra avere apprezzato.

2- Da qui viene un secondo aspetto che mi pare ancora più interessante. La narrazione non si limita a mettere in scena una sorta di invenzione o scoperta. Non si ferma alla descrizione di una eccentrica (esotica, fantasiosa, eccezionale) diversità, ma la rappresenta in azione nel ‘normale’ contesto paperopolese, ovvero di una città i cui modelli di produzione imperanti sono altri, e in cui i principali imprenditori (Paperone e Rockerduck) non sono disposti a farsi facilmente bypassare. Zio Paperone e la campagna in città prova quindi a mettere in scena il conflitto tra diversi modelli economici: quello dei contadini organizzati, e quello degli industriali dell’agricoltura.

La storia racconta quindi la reazione di Paperone, imprenditore in crisi che decide di cambiare strategia, affrontando la nuova concorrenza sullo stesso terreno: la vecchia tuba si lancia nella produzione di cibo biologico. Un percorso cui non mancano gli ostacoli. Dapprima cerca di acquistare qualche terreno agricolo; ma non ne trova disponibili (e anzi una sua offerta è respinta a pallettoni da Dinamite Bla). In seguito cerca una soluzione diversa, per certi versi coraggiosa e inventiva: attraverso la riqualificazione di una antica miniera di carbone sepolta sotto al centro di Paperopoli, arriva a realizzare “Underland P.d.P.”, la prima azienda ortofrutticola sotterranea:
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L’operazione è un successo: prodotti di qualità, in grandi quantità – dunque a prezzi bassi – e in un contesto che per i clienti è anche un piacere ‘divertente’ (la surreale idea dello shopping-raccolta diretta dalle piante). E questo successo mette presto in crisi il “mercato dei contadini”. In uno scambio di vedute con i nipotini, preoccupati anche per Nonna Papera, il capitalista Paperone teorizza:

la libera concorrenza ha le sue leggi! A volte sono dure, ma vanno rispettate! Entrando nel mercato, i contadini se ne sono assunti il rischio!

Già, il mercato premia chi rischia e innova, e lo zione prospera. Al punto che il concorrente Rockerduck (il cui analogo business ‘tradizionale’ è anch’esso in crisi) non può restare a guardare. Ecco dunque entrare in scena l’antico rivale, che ‘copia’ il concorrente con un’iniziativa non da meno: un’azienda ortofrutticola subacquea, ancora più vasta e spettacolare. Risultato: un successo che spiazza lo stesso Paperone.

Ma de’ Paperoni è l’imprenditore indomito che sappiamo, e avvia una contromossa: accelera la produzione, per tornare a superare Rockerduck sia sulla stagionalità dei prodotti che (ci immaginiamo) sui prezzi. Rockerduck lo segue subito, ma nella sua serra sottomoarina le condizioni climatico-produttive sono particolarmente rischiose, come nota un suo tecnico. Tuttavia vediamo Rockerduck assumersi in toto il rischio: piuttosto che vedersi superato se ne frega delle conseguenze, e ordina che si acceleri la produzione senza rispettare i tempi naturali di crescita delle piante.
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Inizia così una catastrofe. Cominciano a verificarsi problemi serissimi: frutti e verdure marciscono in un baleno, con inevitabili contestazioni dei consumatori. Idem accade alla Underland P.d.P.. La credibilità delle “megafattorie” è distrutta, e la valutazione di Rockerduck è impetosa: inutile rimediare tornando ai metodi precedenti:

l’immagine dell’azienda ormai è compromessa e, in questi casi, il consumatore non perdona!

Resta da fare solo una cosa: abbandonare del tutto il business. Si chiude. Ai nipotini il ruolo di esplicitare la morale:

Che batosta per lo Zio Paperone! Ci ha rimesso una vagonata di dollari! Per non parlare di Rockerduck! La cupola sottomarina sarà costata anche di più! […] Con la natura non si scherza! Maltrattandola, ne ricavi solo guai!

Insomma, il racconto sul conflitto tra modelli industriali che ne esce è certo molto semplifice, ma non anestetizzato. Lo vediamo quindi messo in scena in tuttte le sue fasi, dall’analisi dello scenario competitivo alle strategie di creazione del valore aggiunto, dalla fase di innovazione fino al (drammatico) run-out-of-business. Una piccola lezione di didattica industriale, compiuta e coerente.

3- Nel post-finale, con il “ritorno alla normalità”, la storia aggiunge un ingrediente ulteriore. La scena di Paperopoli, dopo il tracollo dei due antagonisti, torna ad essere dominata dal “mercato dei contadini”. E proprio lì si ritrovano Nonna Papera e Paperone, con quest’ultimo ormai in veste di (scornato) cliente. E’ qui che la parabola disneyana trova un compimento non solo didattico, ma propriamente pedagogico. Lo rivela Battista, maggiordomo di Paperone, chiacchierando con Nonna Papera cui svela come sono andate ‘veramente’ le cose nel momento cruciale della scelta di “alzare il rischio”:
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Ebbene la scelta di Paperone a favore di un processo produttivo aggressivo e distruttivo, non era finalizzata al recupero della posizione dominante su Rockerduck. Si trattava di un fallimento industriale intenzionale, il cui obiettivo era altro: fare marcia indietro rispetto a un modello industriale che stava distruggendo un business “sano” come quello della filiera corta, alimentato dai contadini.

Ovviamente una storia Disney come questa, breve e semplice, si apre a diverse letture, tra cui:

  • lettura economicista: a trionfare è il cinismo imprenditoriale di Paperone, che piuttosto di perdere la leadership preferisce sfasciare l’intero mercato (Paperone è un capitalista spietato, e così si è comportato anche stavolta, al di là della facciata buonista)
  • lettura sarcastica: queste cose possono accadere solo in storielle immaginarie (Paperone è un imprenditore lontano anni luce dalla realtà imprenditoriale e dall’economia reale)

Tutte legittime. E non c’è dubbio che ciascuno sia libero di scegliere la propria. Ma quel che mi pare importante è riconoscere anche il peso e il valore di quel che una volta si sarebbe chiamato il “messaggio”: l’obiettivo esplicito, l’intenzione comunicativa della storia.

Ed è in questo senso che mi sembra utile sottolineare come Zio Paperone e la campagna in città, grazie alla sequenza nel post-finale, non sia solo una storiella su un sano principio (‘rispetta la natura’) condita dalla descrizione (compiuta) delle sue implicazioni economico-industriali. Più ampiamente, è una storia su un modo di guardare al business: non solo didattica industriale, ma pedagogia economica. Dietro alle scelte di business, anche le più paradossali e impossibili come un *maxifallimento intenzionale*, c’è una visione del contesto sociale in cui vanno a radicarsi. Un contesto in cui non tutto è utile, non tutto è opportuno, non tutto è sviluppo.

E per quanto assurdo, illusorio, buonista, credibile-solo-nei-fumetti possa sembrare il messaggio di un Paperon de’ Paperoni, in fondo è proprio di questa pedagogia che sembriamo avere più bisogno oggi, per lo sviluppo della nostra acciaccata società moderna.

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